Sembrerebbe un dato di fatto il progresso raggiunto anche in questo settore così impattante sull’umanità, l’alimentazione delle masse; soprattutto dopo le scoperte fatte in questo secolo. Eppure decenni dopo che l’OMS decise che la Dieta Mediterranea fosse la dieta migliore per tutto il mondo, il 38% dei giovani italiani è obeso ed è un record in Europa! e addirittura una vera e propria epidemia di casi di Alzheimer!
Da cosa può essere partita questa scia, se c’è liceità nell’ammettere che può esserci un nesso tra infiammazioni cerebrali e alimentazione?
Ma quindi, sapendo che i giovani italiani seguono la cosiddetta Dieta Mediterranea e che essi stessi fanno registrare questo dato così poco gratificante, non è forse la migliore dieta se li fa ingrassare e “infiammare”? potrebbe dire qualcuno.
Ma il punto è: siamo sicuri che quella che abbiamo imparato a scuola e ci propina l’autorità italiana sia la vera Dieta Mediterranea?
La domanda implica, nella sua nascita, una provocazione, a nostro avviso, legittima. Indaghiamo un pò sulla sua storia…
Ebbene, anche se non esiste in realtà una sola dieta nel bacino mediterraneo, in quanto i popoli che si affacciano a questo mare hanno ricevuto nel corso della storia influssi diversi, hanno avuto tradizioni diverse, hanno usato risorse diverse, tuttavia, hanno da sempre mantenuto dei modelli alimentari con un denominatore di cibo in comune.
Storia della Dieta Mediterranea
Dieta mediterranea nel Paleolitico
Le fonti di proteine, in questa era, erano rappresentate da uova, pesce e carne di cacciagione. I carboidrati consumati erano sostanzialmente frutta e verdura, come esistevano allora (senza incroci e ibridazioni); e gli unici grassi assunti venivano da frutta secca e frattaglie, come le cervella. Pesce, verdura, frutta fresca e secca sono da allora (2,5 milioni di anni fa) colonne portanti della dieta mediterranea, nel suo significato più ampio per le varie aree geografiche.
Dieta mediterranea nell’era precristiana
L’avvento dell‘agricoltura introdusse nella dieta mediterranea nuovi tipi di carboidrati, come i cereali integrali. Anche le fonti proteiche diventano più varie: pollame, latticini e legumi; e nasce la coltura del millenario ulivo, che dona da allora il preziosissimo olio, fonte di polifenoli; ma in questo periodo, la fonte di polifenoli scoperta più importante risulta il vino: prodotto di biotecnologia dell’epoca come di oggi, sfruttando la fermentazione degli zuccheri dell’uva, da allora la sua scoperta e lavorazione ha apportato un valore antiossidante elevatissimo nell’alimentazione quotidiana, grazie alla presenza dei polifenoli della buccia, estratti in notevole quantità dall’alcool. Inoltre, la biotecnologia si rivela anche nella preparazione dello yogurt e del garum, una salsa fermentata di interiora di pesce, che rappresentava il “ketchup” dell’epoca dei romani.
Dieta mediterranea nell’era postcristiana
Nel medioevo, i viaggi di Marco Polo avrebbero portato la pasta dalla Cina all’Italia (probabilmente si trattava di pasta di riso), anche se dai testi di cucina pervenutici di quell’epoca ci risulta che vari impasti crudi di grano già esistevano nelle tradizioni culinarie della penisola. La scoperta delle Americhe (sia stato Colombo o non) invece introdusse pomodori, patate e cacao, mentre dall’Arabia importavamo le spezie e il caffè: tutti alimenti ricchi di polifenoli (tranne le patate, che ne contengono pochi ma contestualmente contengono amidi ad altissimo carico glicemico). Infine i monaci benedettini scoprirono l’arte di distillare il vino, producendo la grappa, ma purtroppo durante la distillazione si perdeva gran parte dei polifenoli.
Dieta mediterranea nell’era moderna
Con la rivoluzione industriale cambia anche la tecnologia produttiva degli alimenti: le raffinazioni di cereali e zucchero, che portarono all’utilizzo delle masse di pane bianco (fino ad allora appannaggio solo delle classi sociali più abbienti), pasta, riso e zucchero bianco, davano ai produttori la garanzia di un prodotto meno costoso e un prodotto finito meno deperibile, quindi con scadenza più lunga. Ma regalavano al consumatore l’assenza di polifenoli (persi con la raffinazione) e carboidrati con alto e altissimo indice glicemico (scelta peggiore di carboidrati). Inoltre nella metà del secolo scorso dall’America giunsero gli oli di semi (di mais, di girasole, di soia, di arachidi, ricchissimi di omega-6) che erano sconosciuti nel Mediterraneo fino ad allora. E questi nuovi grassi entrarono a far parte di quasi tutti gli alimenti industriali, finanche nei preparati omogeneizzati per bambini: sono economici e palatabili. Nel secondo dopoguerra si ha anche l’introduzione dei grassi trans, sottoprodotti della raffinazione degli oli vegetali, che forniva i grassi idrogenati, più stabili al calore e meno irrancidibili. Queste due ultime fonti caloriche a basso costo, insieme ai carboidrati raffinati, hanno creato un cocktail biochimico che può essere considerato, su larga scala, la base per l’infiammazione cellulare, anticamera dei blocchi metabolici della società attuale. Fortunatamente, l’abitudine di condire con l’olio di oliva resta ancora ferma nelle famiglie italiane; tuttavia, i ritmi di lavoro attuali molto spesso non permettono una gestione autonoma dei pasti, e spesso si ricorre a cibi pronti o a snack che poco hanno a che fare né con l’olio di oliva né con la dieta mediterranea.
Ancel Keys e la Dieta Mediterranea
Siamo negli anni ’50 del secolo scorso.
Ancel Keys, ricercatore statunitense, biologo e fisiologo, (colui che nella seconda guerra mondiale aveva formulato la “Razione K“, che ha gettato poi le basi per l’alimentazione di sussistenza dell’esercito americano), aveva constatato che presso gli abitanti di Creta e del Cilento le malattie cardiovascolari fossero poco frequenti.
E in comune i due popoli avevano un’alimentazione semplice, ma ricca di pesce, olio extravergine d’oliva, verdura, frutta, legumi, pollame e vino rosso.
Keys denominò quella dieta “Dieta Mediterranea“.
Lui era fermamente convinto dell’esistenza di un legame tra l’alimentazione e la salute, ed era riuscito a dimostrare, che una dieta da lui formulata a 1800 calorie poteva soddisfare a pieno l’esigenza energetica che prevedeva un consumo di 3000 calorie al giorno.
Assai attratto, quindi, dalle aspettative di vita degli abitanti del Cilento, si trasferì nel 1978 a Pioppi, un villaggio di pescatori nel comune di Pollica, e vi rimase per 26 anni, fino a pochi mesi prima della sua morte, che avvenne pochi mesi prima del suo centunesimo compleanno.
Quello che ci ha lasciato è stata un’eredità importantissima: aveva portato a termine uno studio su come un’alimentazione così formulata:
- grassi omega-3 (pesce);
- proteine magre (pollame, selvaggina)
- carboidrati con un carico glicemico basso (amidi non raffinati e non concentrati, quindi niente pane bianco, pasta, riso, niente merendine, né bevande zuccherate);
- pochi omega-6 (carni rosse, ma soprattutto oli di semi, che allora ancora non erano utilizzati);
- tanti polifenoli (verdura, frutta, vino rosso e olio extravergine di oliva),
porterebbe benefici alla salute della gente, tanto da farla campare di più, ma senza malattie! e sarebbe un ottimo punto di controllo per le malattie cardiovascolari.
Non sembrerebbe insomma un caso che il dott. Keys sia stato longevo. O merito dei geni, come si suol dire.
Certo, la genetica è basilare, ed è da essa che trae la sua legittimazione l’epigenetica, la scienza che studia proprio l’influenza del fattore ambientale sui geni, e che potrebbe spiegare se un bambino è predisposto o no al diabete in base alla sua storia familiare.
Ma l’alimentazione ha un potere enorme: quello di cambiare l’espressione dei geni. Quindi, in poche parole, l’alimentazione studiata come strumento terapeutico, può certamente aiutare a allungare l’aspettativa di vita anche a chi ha “geni difettosi”, come chi nasce da una famiglia che ha memorizzato molte morti coronariche.
Ebbene, alla luce degli studi condotti fino ai nostri anni sull’alimentazione, sembrerebbe proprio la dieta mediterranea, ma quella vera! a regalarci la chance di campare meglio. Diciamo campare meglio e non campare di più, perchè la ricerca farmaceutica non ha allungato un’aspettativa di vita sana, ma in definitiva, un allungamento della vita media facendo lo slalom tra i farmaci. Dobbiamo renderci conto di questo.
Ma ora diamo un’occhiata alla dieta mediterranea all’italiana.
Dieta mediterranea all’ “italiana”
Le autorità italiane raccomandano un modello di dieta mediterranea che propone l’assunzione di tanti carboidrati bianchi (pasta, pane, riso, patate) che rappresentano la base delle sue linee guida alimentari (base della piramide alimentare). Al contrario questi stessi carboidrati hanno un indice glicemico da moderato ad alto, e se assunti tutti i giorni, fanno aumentare la glicemia, alzano i livelli di insulina e portano all’aumento ponderale.
Nella dieta mediterranea il numero di calorie da assumere al giorno per un uomo è di 2500 KCal al giorno. Per la donna sono raccomandate 2000 Kcal al giorno.
Dire che l’uomo adulto ha bisogno di 2500 Calorie al giorno e la donna 2000, quindi seguendo le linee guida della Dieta mediterranea italiana attuale, non deve significare che il corpo necessita di un apporto assoluto di Calorie, ma tuttavia questo contributo deve essere distribuito in percentuale di macronutrienti.
Le autorità italiane consigliano di assumere una quantità di:
- carboidrati che apporti il 55% delle calorie
- proteine che apporti il 15% delle calorie
- grassi che apporti il restante 30%
Sembra quindi abbastanza chiaro che si è cercato di proporre alla massa una distribuzione di nutrienti e di conseguenza una distribuzione di calorie provenienti dai vari nutrienti: (carboidrati:proteine=3,5:1). Quindi si suggerisce ad un uomo adulto di fornire al proprio organismo 2500 Kcal:
1375 Calorie da carboidrati, e definendo come basilari alimenti quali pasta, riso, patate (ad alto e altissimo carico glicemico);
375 Calorie da proteine, privilegiando le carni magre (pollame, vitello, coniglio, maiale leggero) e pesce;
le restanti 750 Calorie da grassi, privilegiando quelli monoinsaturi (da olio d’oliva soprattutto, poi da frutta secca);
Ora, questo modello alimentare viene osannato dai media come il più valido, da un punto di vista scientifico, per proiettarci al benessere psico-fisico e alla longevità. La realtà è tutta un’altra.
Se esaminiamo “più onestamente“da un punto di vista scientifico noteremo, tuttavia, che la raccomandazione di:
- fondare la base della piramide alimentare su “carboidrati complessi” come pasta, pane, riso e patate;
- consigliare di assumere carni bianche, pesce e uova “più volte alla settimana”;
- consigliare l’assunzione di una quantità di carboidrati circa 3,5 volte superiore alle proteine;
- posizionare grassi, oli, e dolci tutti al vertice della piramide;
- assumere 2000-2500 Calorie al giorno;
- vino, con moderazione;
è altamente opinabile.
Qualsiasi nutrizionista, che si sia evoluto nelle sue conoscenze a partire dagli anni ’70 del secolo scorso ad oggi, sa bene che:
- “carboidrati complessi” come quelli di pane, pasta, riso e patate hanno un indice glicemico e un carico glicemico molto alti; fatto che suggerisce uno sforzo ormonale molto importante specialmente a carico dell’insulina, che stimolato tutti i giorni con abbondanza di tali alimenti, con ogni probabilità, si proietta all’iperinsulinismo e alla resistenza insulinica; è dagli anni ’70 del secolo scorso che sono stati pubblicati studi di esperimenti salienti che sfatano il mito dei carboidrati complessi e semplici, in quanto spesso zuccheri semplici come il fruttosio impiegano più tempo per essere assorbiti, e zuccheri complessi come quelli del riso e pasta vengono assorbiti molto più velocemente;
- l’assunzione di carni bianche, uova e pesce più volte alla settimana, senza una indicazione più precisa circa la frequenza di assunzioni di tali alimenti e anche durante le 24 h non è il migliore approccio nutrizionale per i seguenti motivi: per il mantenimento di un metabolismo basale alto, che possa proiettarci all’efficienza metabolica (noi mangiamo per produrre ATP), deve essere raccomandata l’abitudine di mangiare 5 volte o più al giorno, non trascurando una minima porzione proteica, in quanto le proteine hanno, rispetto ai carboidrati e grassi, un elevato effetto di termogenesi indotta dalla dieta. Mangiare 5 volte al giorno (o più) crea un segnale di abbondanza energetica per il nostro organismo, che capisce che non ha senso mettere da parte energia sottoforma di grasso, come invece accade se digiuniamo o saltiamo i pasti (che è comunque un digiuno) e, in tal caso, l’organismo che registra il periodo di carestia, poi quando assume calorie anche poco più del suo fabbisogno, le accumula facilmente sottoforma di grassi;
- secondo la FAO l’assunzione delle proteine è stata regolare negli ultimi venticinque anni ed è stata del 17% del fabbisogno totale. Si stima, in questo quarto di secolo, il consumo medio di 112 g di proteine al giorno. Così se il Joslin Diabetes Center consiglia il 30% delle proteine del fabbisogno calorico totale, però puntando a una dieta ipocalorica (1500Kcal), a fronte delle 2500 Kcal della dieta mediterranea italiana, e quindi, con un rapido calcolo, si capisce che consiglia proprio quel consumo di proteine al giorno (112 g/die), le autorità italiane consigliano il contributo calorico del 15% delle proteine al giorno, quindi proponendo una riduzione dell’apporto proteico, contestualmente all’aumento del consumo di carboidrati bianchi (pasta, riso, pane, patate). Da un punto di vista nutrizionale nonchè logico, ciò non ha senso;
- la base della piramide dovrebbe essere revisionata: non si possono posizionare fonti di carboidrati ad alto indice glicemico come i dolci e prodotti di gastronomia insieme a grassi e oli e canonizzare carboidrati bianchi (pane, pasta, riso), i quali invece dovrebbero trovare una collocazione vicina a quella dei prodotti di pasticceria, magari sotto ad essi; di contro, i carboidrati bianchi si trovano alla base della piramide!
- già nel 1500 Luigi Cornero, nobile veneziano, era riuscito a dimostrare su se stesso i benefici della restrizione calorica: si stima assumesse circa 1000 Kcal al giorno, con un paio di bicchieri di vino rosso anche, ed era riuscito a campare sano circa 90 anni; più recentemente, nella metà del secolo scorso, Ancel Keys, colui che coniò il termine “dieta mediterranea” attuale, era riuscito a dimostrare che l’esercito potesse avere con appena 1800 Kcal una resa energetica che di norma si riusciva ad avere con 3000 Kcal! Sono solo due degli innumerevoli esempi dei vantaggi della restrizione calorica (che non deve essere denutrizione) sugli esseri viventi: ampiamente dimostrata in pubblicazioni scientifiche di esperimenti su animali da laboratorio, è chiaro ormai che uno dei modi per attivare “l’enzima della vita”, l’AMP-Kinasi, che deve essere attivato per proiettarci alla longevità, è proprio seguire una restrizione calorica per tutta la vita. E in questo ragionamento scientifico basilare, la proposta del modello alimentare per le masse a 2500 Kcal in media non proietta sicuro all’attivazione dell’AMP-Kinasi, tanto più che le calorie consigliate sono anche formulate con una sproporzione enorme tra carboidrati ad alto carico glicemico e proteine, cosa che, in primis, non è la dieta ideale per chi volesse prevenire sindrome metabolica, diabete e obesità;
- il vino non fa bene solo perchè è vino. Si arriva a consigliare il bicchiere di vino rosso per la presenza di polifenoli, come il resveratrolo e le delfinidine, che non sono presenti nel vino bianco: il valore ORAC di un Aglianico del Vulture ad esempio è di circa 3500 ORAC, a fronte di circa 10 volte di meno di uno Chardonnay bianco.
Insomma l’attuale Dieta Mediterranea che propinano tanti luminari della nutrizione, che magari sono pressati dalle aziende alimentari, ti può pure proiettare ai 90 anni, ma come? Molto probabilmente passando la terza età tra l’assunzione di un farmaco e un altro. E credendo che il prima possibile verrà scoperto il farmaco che farà miracoli, o il miracolo. Ma non si sa bene quale.
Specie la terza età non concepisce una vita senza farmaci, e non ammetterebbe mai che i blocchi metabolici che ha sono stati causati da decenni e decenni di assunzione di alimenti sbagliati, come pane, pasta, riso, crede che sia solo sfortunata perché si è ammalata, e non crederebbe mai che se avesse fatto la vera Dieta Mediterranea, quella di Keys e dei pescatori di Pollica per 50 anni probabilmente non avrebbe manco il diabete!
Tanto per stigmatizzare il concetto, in occasione del “World Pasta Day” del 2008, i nutrizionisti al convegno lanciarono l’allarme per la salute per il progressivo abbandono della dieta mediterranea dove la pasta ha appunto un ruolo di primo piano: ma la preoccupazione, per i signori, si rivolse soprattutto ai bambini ai quali la pasta è vivamente consigliata!
E qualche anno dopo, nel 2011 il nostro allora ministro della Salute, Ferruccio Fazio, lanciò, con palese ufficiale paradosso, dati allarmanti:
36% dei bambini italiani è troppo grasso;
il 23,6% è sovrappeso;
il 12,3% addirittura è obeso.
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