L’infiammazione silente: “The secret killer”
Questo era il titolo di un’edizione straordinaria di Febbraio 2004 del Time: si parlava del sorprendente collegamento tra l’infiammazione e attacchi cardiaci, cancro, Alzheimer e altre malattie. E di come subdolamente questo fenomeno sia capace di strisciare silenziosamente e senza sintomi per decenni prima di sfociare in una malattia: è questa l’infiammazione silente.
Cos’è l’infiammazione?
Gli antichi Greci la chiamavano “fuoco interiore”.
Gli antichi Romani la definivano un insieme di eventi che provocavano:
- rubor: rossore
- calor: calore
- tumor: gonfiore
- dolor: dolore
- functio laesa: perdita di funzione
L’infiammazione è un meccanismo di difesa innato scatenato in seguito a un insulto chimico, fisico e biologico, il cui obiettivo finale è quello dell’eliminazione della causa iniziale di danno cellulare o tissutale, nonchè l’avvio del processo riparativo.
L’infiammazione consiste in una sequenza dinamica di eventi biologici che si manifestano con intensa reazione vascolare:
- vasodilatazione
- aumento della permeabilità vascolare, con fuoriuscita di liquidi dal letto vascolare al sito della lesione
- conseguente infiltrazione leucocitaria
Vengono reclutati quindi:
- ammine vasoattive (istamina, serotonina)
- proteasi plasmatiche (chinine, fattori della coagulazione)
- metaboliti dell’acido arachidonico (prostaglandine, trombossani, leucotrieni)
- citochine (IL-1, IL-6, TNF-α)
Se non avessimo l’infiammazione potremmo morire per un raggio di sole, oppure per la puntura di un insetto, o per colpa di un microbo che è entrato nel nostro corpo!
Se, ad esempio, il sistema immunitario innato percepisce la presenza di frammenti microbici, ha inizio una catena di eventi che vede protagonisti i leucociti e gli eicosanoidi:
neutrofili (nella fase acuta) e macrofagi (nella fase cronica), infatti, sono attivati da proteine infiammatorie come le citochine (TNF, IL-1 e IL-6) o sono attivati da eicosanoidi derivati dalla sintesi di enzimi infiammatori (COX); una volta attivati cominciano a produrre radicali liberi, che possono essere:
Ossidrile (OH-)
Anione superossido (O2-)
Perossile (ROH-)
Ione ipoclorito (ClO-)
Perossinitrito (ONOO-)
allo scopo di uccidere il microbo.
Recettori toll-like
Ma il primo passo per l’attivazione del sistema immunitario innato è il riconoscimento di frammenti del microbo invasore da parte di recettori posti sulla superficie della cellula del sistema immunitario (macrofagi, cellule dendritiche, linfociti) chiamati recettori toll-like che riconoscono un frammento del microbo (lipide A):
I recettori toll-like riconoscono tale frammento come un segnale dell’invasione microbica e attivano il rilascio di un’ampia varietà di citochine infiammatorie (TNF, IL-1, IL-6) e incrementano la sintesi delle COX.
Ma questi recettori, purtroppo, non sanno distinguere fra il lipide A di un batterio e alcune molecole della nostra dieta: il recettore toll-like TLR-4, ad esempio, non sa fare discernimento tra il residuo di acido miristico del lipide A di Escherichia Coli e l’acido miristico che proviene dal burro o dall’olio di cocco che mangiamo! e induce una risposta infiammatoria anche quando introduciamo grassi saturi con la dieta.
Questo è uno dei motivi per cui gli acidi grassi devono essere assunti con attenzione: scatenando la risposta infiammatoria, creano disturbi nella ricezione dei segnali alle cellule, facilitando quindi l’insorgenza il fenomeno di resistenza all’insulina.
Quindi, una volta avvenuto il legame ligando-recettore toll-like, vengono prodotti segnali cellulari che interagiscono con fattori di trascrizione cellulari:
- NF-kB (fattore nucleare kappa B)
- PPAR- γ (recettore della proliferazione perissosomiale γ)
Il primo fattore di trascrizione (NF-kB), se attivato, accende l’infiammazione.
Il secondo, (PPAR-γ), se attivato, la spegne.
Ora, qualunque cosa attivi i recettori toll-like, come i grassi saturi ad esempio, attiverà anche l’NF-kB e indurrà una risposta infiammatoria.
Di contro, qualunque cosa sia capace di attivare il PPAR-γ, anche attraverso il cibo, come gli omega-3 e i polifenoli, diminuirà la risposta infiammatoria.
I più potenti attivatori dell’NF-kB, comunque, sono eicosanoidi infiammatori derivati dall’acido arachidonico: leucotrieni e acidi grassi idrossilati (come 12-HETE).
Un altro attivatore dell’NF-kB è lo stress ossidativo derivato dal flusso ininterrotto di radicali liberi: anche il glucosio in eccesso nel sangue è una causa di stress ossidativo.
Pertanto:
- eccesso di carboidrati sfavorevoli
- eccesso di omega-6 (precursori di acido arachidonico)
- eccesso di grassi saturi
rappresentano un cocktail micidiale che alimenta l’infiammazione.
Una volta avviato questo complesso processo, attivati i recettori toll-like, attivato l’NF-kB, prodotte citochine infiammatorie, attivati enzimi infiammatori, prodotti eicosanoidi infiammatori etc., tutto questo deve avviarsi verso la fine della sua funzione efficace: la fagocitosi, che, è di fatto, la fine del processo infiammatorio. Saranno i leucociti reclutati in sede del danno, infatti, a invaginare e distruggere la noxa patogena (agente patogeno), servendosi di enzimi lisosomiali, di radicali liberi sia del”ossigeno che dell’azoto:
Ossidrile (OH-)
Anione superossido (O2-)
Perossile (ROH-)
Ione ipoclorito (ClO-)
Perossinitrito (ONOO-)
Una volta terminata la funzione di confinare l’agente invasore, quindi, vengono messi in moto i meccanismi della risoluzione dell’infiammazione, mentre si ripara o si sostuisce il tessuto danneggiato.
Quindi la fase risolutiva è, a tutti gli effetti, una fase attiva e non è semplicemente la fine del fenomeno infiammatorio. Infatti viene reclutata tutta una serie di mediatori e citochine (fattori di crescita, annessine, lipossine, resolvine e IL-10) per porre fine all’infiammazione residua e riparare, o sostituire, il tessuto danneggiato.
Se, inoltre, l’agente patogeno persiste, l’infiammazione acuta iniziale probabilmente evolverà in uno stato di infiammazione cronica, lento e subdolo, che durerà mesi o finanche anni e che implicherà distruzione del tessuto e proliferazione locale di cellule (macrofagi, linfociti) e tessuto connettivo. I fattori di crescita attiveranno l’angiogenesi e stimoleranno i fibroblasti a depositare tessuto fibroso: si formeranno nell’infiammazione cronica i granulomi, ammassi tondeggianti di macrofagi stratificati che contengono il corpo estraneo non eliminato, nel tentativo di delimitarlo dal resto della cellula.
In particolare, le resolvine rivestono un ruolo chiave nella risoluzione del fenomeno infiammatorio: l’alimentazione ne fornisce i precursori tramite il pesce grasso.
Senza un quantitativo adeguato di EPA e DHA, la fase risolutiva, infatti, risulta compromessa: nella fase risolutiva le resolvine – derivate da EPA e DHA – giocheranno un ruolo chiave nel degradare i macrofagi e neutrofili e quindi nell’interruzione del flusso di radicali liberi. Se la fase acuta è troppo potente, o, ancora più frequentemente, se la fase di risoluzione risulta troppo debole, le cellule del sistema immunitario rimarranno in circolo, creando un flusso ininterrotto di radicali liberi, che danneggerà tessuti e organi, e costituirà l’humus per malattie e invecchiamento cellulare.
L’infiammazione silente
Un tipo di infiammazione cronica è l’infiammazione silente: proprio quando ci sarà squilibrio tra risposta infiammatoria e risolutiva, resterà attivata un’infiammazione a bassa intensità.
A differenza dell’infiammazione classica, che si manifesta, come sappiamo, con:
- rossore
- calore
- gonfiore
- dolore
- perdita di funzione,
l’infiammazione silente è al di sotto della soglia percettiva del dolore, ed è la più subdola, perchè può agire indisturbata per decenni e provocare perdita di funzione degli organi: è questa la vera causa delle malattie cronico-degenerative dei vari organi.
Non ci si accorge se non dopo decenni delle alterazioni ormonali che essa causa e spesso è già troppo tardi per tornare indietro verso l’equilibrio.
E’ l’infiammazione silente l’anticamera di:
- malattie cardiovascolari (infarto del miocardio, coronaropatie, ipertensione)
- diabete di tipo 2
- cancro
- Alzheimer
- depressione
- allergie
- malattie autoimmuni
E’ praticamente il male del secolo, perchè riporta essenzialmente a un fenomeno legato allo stile di vita attuale dell’uomo.
Infatti ci si può chiedere: se l’infiammazione ha un ruolo basilare nella nostra sopravvivenza e quindi nasce come un meccanismo di difesa ed è finalizzato alla riparazione tissutale e alla guarigione, perchè la maggior parte di noi soffre di problemi infiammatori e perchè, ancor peggio, sono così diffuse le malattie cronico-degenerative?
La risposta è molto complessa come la domanda.
Ma di certo è che abbiamo alterato, con uno stile di vita sbagliato, il bilanciamento tra la risposta infiammatoria e la risposta antinfiammatoria del nostro corpo, che coesistono, sono una in equilibrio con l’altra. Questo equilibrio dipende da ormoni responsabili, in pratica, del nostro stato di salute o di malattia.
Quali sono le cause dell’infiammazione silente?
L’infiammazione silente ha fondamentalmente due cause principali.
E sono da ricondurre entrambe all’alimentazione:
- un eccesso di produzione di acido arachidonico, responsabile della formazione di eicosanoidi proinfiammatori ;
- scarsità nella dieta di EPA e DHA , che sono necessari per la fase risolutiva dell’infiammazione.
Altre cause possono essere:
- industrializzazione dei cibi
- obesità viscerale
- stress ossidativo
- AGEs (Advanced Glycation End products)
- fumo
- Se stimoliamo in modo eccessivo l’insulina – assumendo ad esempio quantità eccessive di carboidrati sfavorevoli, come pasta, pane, riso e patate – questo ormone, oltre ai meccanismi metabolici che scatenerà (vedi insulina), stimolerà, a sua volta enzimi proinfiammatori, come la Delta-5 desaturasi.
- D’altro canto, minore sarà l’introito dalla dieta di omega-3 (EPA e DHA) minore sarà la capacità di spegnere o attenuare questa amplificazione dell’infiammazione, in quanto dagli omega-3 dipende la sintesi delle resolvine, potenti ormoni essenziali per la fase risolutiva dell’infiammazione. Pertanto si verificherà, dopo decenni di stili di vita così lanciati, una cronicità del fenomeno infiammatorio. Se aggiungiamo le altre cause (obesità, fumo etc.) si accentuerà ancora di più.
Gli ormoni nell’infiammazione silente
Attraverso un’adeguata alimentazione possiamo controllare la complessa rete di eventi che sono alla base dello sviluppo dell’infiammazione cronica, che, potrebbe essere ridefinita come squilibrio tra:
- eicosanoidi proinfiammatori
- eicosanoidi antinfiammatori
Eicosanoidi
Gli eicosanoidi sono prodotti dall’ossigenazione di acidi grassi poli-insaturi a catena lunga provenienti dalla dieta: omega-6 e omega-3.
Costituiscono una famiglia molto grande di composti altamente potenti che controllano praticamente tutte le funzioni del corpo umano e hanno un’emivita molto breve (da pochi secondi a pochi minuti).
Il più importante precursore degli eicosanoidi è l’acido arachidonico:
Come si nota dalla Fig.1 l’acido arachidonico può seguire essenzialmente due percorsi enzimatici:
- la via della Ciclossigenasi (COX) che porta alla sintesi delle prostaglandine :
2. la via della Lipossigenasi (LOX), che porta alla sintesi dei leucotrieni:
Questi superormoni possono essere grossolanamente suddivisi in due categorie:
Non si può vivere senza eicosanoidi cattivi: potremmo facilmente morire dissanguati senza.
Non si può vivere nemmeno senza eicosanoidi buoni: avremmo facilmente infarti e ictus.
Dall’equilibrio delle due classi di eicosanoidi scaturisce lo stato di equilibrio ormonale del nostro organismo.
Manipolazione dietetica degli eicosanoidi
La necessità dell’introito di EPA e DHA si riflette non solo sulla loro capacità di produrre resolvine e quindi sulla loro importanza nella risoluzione del fenomeno infiammatorio; ma anche sul loro intervento diretto e indiretto nella cascata dell’acido arachidonico, e quindi nella produzione conseguente degli eicosanoidi.
Biosintesi di EPA e DHA dall’ALA
La sintesi dell’EPA a partire dall’acido alfa-linolenico (ALA), un acido grasso omega-3 a catena corta, sembra essere una via diretta di biosintesi alternatica alla biosintesi dell’acido arachidonico a partire dal suo precursore, acido linoleico, acido grassi omega-6 (Fig.5)
Tuttavia non è così semplicistico nella realtà:
- solo il 5-10% di ALA viene convertito in EPA;
- solo l’ 1%- <5% di ALA viene convertito in DHA.
Una resa così scarsa succede essenzialmente per due ragioni:
- l’ALA, a differenza del LA, viene scarsamente incorporato nei fosfolipidi di membrana;
- è L’ALA stesso a inibire la delta-6-desaturasi;
Inoltre, per produrre il DHA, l’EPA deve essere allungato due volte e poi convertito di nuovo dalla delta-6-desaturasi nel precursore del DHA, che viene accorciato di due atomi di carbonio per retroconversione tramite beta-ossidazione nei perossisomi, per produrre finalmente il DHA.
Manipolazione degli eicosanoidi da parte di EPA e DHA
Oltre a questo, il DHA stesso inibisce la delta-6-desaturasi.
Inoltre l’EPA inibisce la delta-5-desaturasi.
Ciò comporta che in una dieta con basso introito di omega-6 e una contemporanea assunzione di un quantitativo adeguato di omega-3 verrebbe dirottata la sintesi verso un accumulo di DGLA (acido diomogammalinolenico) e conseguente produzione di eicosanoidi buoni (PGE1) e una contemporanea diminuzione di produzione di acido arachidonico, e quindi del substrato più importante per l’infiammazione silente.
Da quanto detto ne consegue che soltanto con la diretta assunzione degli omega-3 a catena lunga (EPA e DHA) dai pesci grassi (sgombro, salmone, alici) e non dai loro percursori (ALA) si ha un’efficace manipolazione dell’acido arachidonico; sempre però controllando principalmente l’insulina, motore dell’infiammazione cellulare che, al contrario di EPA e DHA, stimola le due desaturasi.
Il ruolo degli ormoni
Tre sono gli ormoni capaci di regolare l’espressione degli eicosanoidi:
- insulina
- glucagone
- cortisolo
Insulina
Se ogni giorno assumiamo troppi carboidrati sfavorevoli (pasta, riso, pane e patate) verrà stimolato in modo esagerato l’ormone insulina, che a sua volta attiverà enzimi proinfiammatori, come l’enzima delta-6-desaturasi e delta-5-desaturasi.
Quindi maggiore insulina stimoliamo più acido arachidonico produciamo, che, attraverso gli enzimi COX e LOX, verrà trasformato in mediatori infiammatori, prostaglandine (PGE2), trombossani (TXA2), leucotrieni (LTB4) che amplificheranno la risposta infiammatoria.
L’acido arachidonico, inoltre, attiverà un fattore di trascrizione genica, l’NF-kB, a cui seguirà un aumento di espressione delle citochine (IL-1, IL-6, TNF) e l’aumento della sintesi di enzimi infiammatori (COX-2). Quindi avverrà amplificazione della risposta anche a questo livello.
Se introduciamo, in aggiunta, continuamente cibi industrializzati (prodotti con farine raffinate e oli di semi) alimenteremo ancor di più questo meccanismo, in quanto oli di semi (soia, mais, girasole) sono ricchissimi in omega-6, precursori dell’acido arachidonico (acido linoleico): si noti dalle tabelle 1 e 2 la sproporzione di acido linoleico (C18:2) – che rappresenta quasi la metà degli acidi grassi totali – rispetto all’olio di oliva in cui il C18:2 rappresenta il 6,79%! L’abbondanza di omega-6 in una dieta già insulinogenica per la ricchezza in carboidrati sfavorevoli (riso, pane, patate, pasta) creerà più efficacemente acido arachidonico perchè gli enzimi delta-6-desaturasi e delta-5 desaturasi, stimolati dall’insulina, avranno più substrato a disposizione.L’acido arachidonico è l’avviatore dell’infiammazione silente: inizierà da esso un’espressione di prostaglandine (serie 2), di trombossani e leucotrieni proinfiammatori, PCR elevata, e ci si ritroverà, dopo decenni, con resistenza insulinica da parte delle cellule, con adipe addominale e con adipochine (IL-6) aumentate nel tessuto adiposo, che alimenteranno l’infiammazione cellulare e l’insulino-resistenza: il grasso viscerale, infatti, a differenza del tessuto adiposo sottocutaneo, promuove una spiccata lipolisi, riversando una notevole quantità di acidi grassi liberi nel sangue. Ora, gli acidi grassi saturi verranno riconosciuti dai recettori toll-like (TLR-4) – che si trovano maggiormente espressi negli individui in sovrappeso – e potenzieranno la risposta infiammatoria, fino a interferire con la rete di segnali cellulari e limitare la risposta delle cellule all’insulina. Inoltre, siccome vi sarà aumentata espressione di eicosanoidi aggreganti le piastrine e vasocostrittori, ci sarà maggiore probabilità di avere attacchi cardiaci.
Glucagone
L’assunzione di proteine stimola il rilascio dell’ormone glucagone, che svolge effetti opposti a quelli dell’insulina, principalmente iperglicemizzante, ed è reclutato durante il processo di gluconeogenesi: questo ormone ordina il rilascio dal fegato del glucosio a partire dal glicogeno stoccato (glicogenolisi) in modo da riequilibrare la glicemia. Quest’ormone interferisce, inoltre, nella cascata dell’acido arachidonico andando ad inibire la delta-5-desaturasi (Fig.5), così da limitare la produzione dell’acido grasso sfavorevole.
Cortisolo
Il cortisolo è l’ormone è l’ormone dello stress cronico, prodotto dalle ghiandole surrenali. E’ un ormone della famiglia dei glucocorticoidi e quindi ha anche azione antinfiammatoria e immunosoppressiva: nell’infiammazione silente, infatti, è prodotto proprio per contrastare gli effetti proinfiammatori degli eicosanoidi cattivi: il cortisolo, una volta in circolo, induce la sintesi di una proteina (la lipocortina), che blocca la fosfolipasi A2, a livello della membrana cellulare (Fig.1).
Inoltre, viene prodotto sia quando si osserva una dieta iperproteica sia quando si assumono continuamente carboidrati ad alto IG, perchè serve a ripristinare la glicemia alterata da una elevata produzione di insulina.
Tra le conseguenze dell’aumento di cortisolo vi sono:
- aumentato senso di fame (a causa dell’insulino-resistenza instauratasi)
- immunosoppressione: quindi si diventa più vulnerabili alle infezioni
- minore lucidità mentale, dovuta alla distruzione dei neuroni dell’ippocampo, per la costante esposizione all’eccesso del cortisolo
- iperglicemia
- funzione tiroidea soppressa
La strategia alimentare Zona
Ci vogliono anni, anche decenni, prima che l’infiammazione, da silente, manifesti uno stato patologico, ma ciò non significa che bisogna aspettare che sopraggiunga la malattia prima di intervenire. Bisogna agire prima che la cronicizzazione porti a malattie cronico-degenerative come artrite, arteriosclerosi, infarto del miocardio, diabete di tipo 2 etc.
Come agire in tempo: il cibo come farmaco
Quando si pensa all’infiammazione si pensa, nell’immaginario comune, al dolore principalmente; e si collega la “cura” del fenomeno flogistico all’utilizzo dei farmaci, i farmaci antinfiammatori.
I farmaci antinfiammatori più usati, i cosiddetti F.A.N.S. agiscono sulla formazione degli eicosanoidi inibendo gli enzimi Ciclossigenasi, in modo tale da inibire indirettamente la sintesi di una serie di eicosanoidi, le prostaglandine che comportano dolore (Fig.5). A parte il fatto che la maggior parte di essi non è selettiva e quindi va a inibire sia prostaglandine buone che cattive, e questo comporta la serie di effetti collaterali tipici (ulcerazione gastrica, rischi di emorragie, problemi al flusso renale in soggetti compromessi etc.), il problema che maggiormente collega l’uso protratto dei FANS all’infiammazione silente è proprio il loro meccanismo d’azione: bloccando l’infiammazione, infatti, essi non la proiettano nella fase risolutiva, portando tutta quella serie di squilibri tra effetti proinfiammatori e antinfiammatori delle nostre cellule che sono alla base dell’insorgenza dell’infiammazione silente.
Non portando a risoluzione il fenomeno flogistico, quindi, i farmaci antinfiammatori creano un flusso ininterrotto di radicali liberi, rilasciati dalle cellule del sistema immunitario reclutate nella fase acuta (macrofagi, neutrofili), che crea uno stress ossidativo, anch’esso causa dell’infiammazione silente.
E’ chiaro quindi che – anche se l’immaginario comune vede nei farmaci la soluzione a tutto, l’approccio farmacologico non è affatto il migliore, se non uno dei peggiori approcci, considerando che possono creare essi stessi le cause dell’infiammazione silente – i farmaci non possono essere un valido strumento nella battaglia contro l’infiammazione.
Invece esiste uno strumento molto efficace, accessibile a tutti, senza effetti collaterali, che può essere reclutato per prevenire e combattere l’infiammazione silente: la dieta.
La dieta italiana, spacciata per dieta mediterranea, infatti, abbonda di cereali raffinati, zucchero, pasta, pane, riso e grassi idrogenati, oli di semi. Di contro, scarseggiano proteine nobili come pesce, carne, formaggi magri, e fonti di carboidrati favorevoli, come verdura e frutta.
La carne è demonizzata e si osanna la pasta.
Col risultato che la nostra celebrata dieta mediterranea ha contribuito ad aumentare il rischio di diabete, di malattie cardiovascolari e obesità: abbiamo i giovani più obesi d’Europa!
Spesso soffriamo di :
- sonnolenza postprandiale
- stanchezza fisica
- scarso rendimento mentale
- fame eccessiva
- intontimento al risveglio
- cefalea
- gonfiore addominale
- allergie e dermatiti
e non pensiamo affatto che questi non sono altro che segni del maltrattamento che subi il nostro organismo quotidianamente dal cibo!
Una dieta del genere, che è insulinogenica, abbonda di acidi grassi omega-6 (da oli di semi, cereali, alimenti inscatolati e surgelati) e scarseggia di acidi grassi omega-3 (da pesci soprattutto pesci grassi), ha creato nelle cellule, nel corso di decenni, un rapporto AA/EPA 15-20:1. [17,18,19]
Un’alimentazione più semplice – sul modello della dieta mediterranea di Pioppi, per intenderci – poco elaborata, basata su molte verdure, legumi, frutta fresca, carni da selvaggina e pesce, con attività fisica, se seguita tutti i giorni, di sicuro si ridurrebbe di gran lunga il rischio di sviluppare malattie cronico-degenerative della nostra epoca, con conseguente risparmio della spesa sanitaria nazionale.
Un modello alimentare che riprodurrebbe meglio la dieta mediterranea del secolo scorso potrebbe essere la cosiddetta “strategia alimentare Zona”: ideata negli anni ’90 del secolo scorso dal biochimico americano Barry Sears, la Zona proposta inizialmente per cardiopatici e diabetici, si propone come obiettivo proprio il raggiungimento di una “zona“, un range di valori ematici certificato da comuni esami del sangue, e che definirebbero “uno stato di grazia fisiologico in cui si trova l’organismo quando gli ormoni sono in perfetto equilibrio e danno luogo a una salute ottimale.” [5]
La dieta Zona è stata sviluppata sul concetto che le risposte ormonali dei macronutrienti possono essere controllate per mantenere gli ormoni chiave dentro una “zona terapeutica” per controllare le risposte infiammatorie. In particolare, i due sistemi ormonali che sono direttamente influenzati dai macronutrienti del cibo sono:
l’asse insulina/glucagone e gli eicosanoidi.
Ognuno di questi sistemi ormonali ha un importante impatto sul processo infiammatorio: un appropriato bilanciamento dei macronutrienti può portare a una riduzione dell’infiammazione, evidenziabile in markers infiammatori, come il rapporto acido arachidonico/ acido eicosapentaenoico (AA/EPA): un elevato rapporto AA/EPA è associato alla patogenesi di svariate condizioni cliniche cronico-degenerative, come cardiopatie, malattie autoimmuni e diabete e cancro.
Il metodo Zona potrebbe identificarsi come una riscoperta scientifica della vera Dieta Mediterranea, quella seguita nelle coste della nostra parte del bacino mediterraneo, che fondamentalmente è una dieta semplice, che utilizza cibi dal mare e dalla terra, è molto colorata (da verdure e frutta), non utilizza (o almeno raramente) la pasta e il riso, non utilizza alimenti preconfezionati.
E’ un modello alimentare equilibrato in tutti i macronutrienti:
- 40% carboidrati
- 30% proteine
- 30% grassi
La strategia Zona non fa altro che consigliare pasti formulati con questi semplici ingredienti della natura, considerando il giusto bilanciamento dei macronutrienti (carboidrati, proteine, grassi), in quanto è attraverso quest’ultimo che si ottiene l’equilibrio ormonale che ci proietta al benessere, che si identifica con il controllo dell’infiammazione delle nostre cellule. Come la dieta che Ancel Keys studiò negli anni ’50 del secolo scorso nel Cilento, che poi denominò “dieta mediterranea”, anche il metodo Zona propone una restrizione calorica (1200-1600 KCal) che è fattore essenziale per accendere l’interruttore biologico della longevità (AMP-Kinasi).
- I carboidrati utilizzati sono quelli a basso carico glicemico: verdure non amidacee, legumi, frutta, pochi cereali integrali e amidi: praticamente le fonti di carboidrati colorate, quindi indice della presenza di polifenoli, sono da preferire a quelle di carboidrati bianchi (pane, pasta, riso e patate) povere in polifenoli.
- Le proteine utilizzate sono essenzialmente magre, da pollame, pesce, formaggi magri e con pochi grassi saturi.
- I grassi utilizzati sono in prevalenza monoinsaturi, principalmente olio extravergine di oliva, ma anche frutta secca. Fondamentale è la limitata assunzione di oli di semi (soia, mais, girasole), fonti eccellenti di acido linoleico, precursore di acido arachidonico, come fondamentale è la limitata assunzione di acido arachidonico direttamente dal cibo (tuorlo d’uovo, frattaglie, fegato, grasso di carni rosse e di salumi.
Assumendo questa proporzione di macronutrienti ad ogni pasto (40:30:30), sia esso un pranzo, uno spuntino, o cena, tutti i giorni, si crea una continua stabilità ormonale che non provoca attacchi di fame, pur essendo una dieta ipocalorica (1200-1600 Kcal), agendo principalmente sulla delta-5-desaturasi, attraverso l’equilibrio dell’asse insulina-glucagone:
L’enzima delta-5-desaturasi è attivato dall’insulina e inibito dal glucagone e dall’EPA: è il delta-5-desaturasi il bersaglio enzimatico principale della Zona.
Quindi il rapporto tra proteine e carboidrati (30:40), usando le fonti proteiche e le fonti di carboidrati consigliati nella Zona, e l’incremento dell’assunzione di EPA e DHA dal pesce grasso o dall’olio di pesce, si traduce in un controllo dell’insulina, e conseguentemente nell’aumento di produzione di eicosanoidi “buoni” e nella diminuzione di produzione di eicosanoidi “cattivi”.
Effetto biologico fondamentale per il controllo dell’infiammazione silente.
Il controllo dell’insulina prima di tutto, poi il controllo del glucagone e del cortisolo, creati dalla Zona indirettamente, creano la base biochimica (equilibrio eicosanoidi) utile per prevenire:
- malattie cardiovascolari (infarto del miocardio, coronaropatie, ipertensione)
- diabete di tipo 2
- cancro
- morbo di Alzheimer
- depressione
- allergie
- malattie autoimmuni
La Zona agisce come un farmaco.
Il farmaco principale.
E a differenza della maggior parte dei farmaci che sopprimono i sintomi (palliativi), la Zona funziona prevenendo o migliorando le condizioni di sviluppo delle malattie cronico-degenerative che sono causate da uno squilibrio degli eicosanoidi.
Dalle pubblicazioni scientifiche risulta che l’approccio della Zona (40:30:30) è nettamente più efficace di altre piramidi alimentari, compresa quella italiana (60:15:25) per:
- ridurre l’insulinemia postprandiale [7]
- ridurre l’insulino-resistenza, emoglobina glicata, proteina C reattiva [8,9,10]
- ridurre il profilo dei lipidi ematici [10]
La Zona corregge, con questo esercizio alimentare quotidiano, il rapporto AA/EPA [12]: tale rapporto, evidenziabile da specifici esami ematici, è il mezzo più efficace per stimare lo stato di equilibrio tra eicosanoidi buoni e cattivi, e quindi, dell’ottimale equilibrio tra risposta infiammatoria e antinfiammatoria.
Inoltre, la Zona attiva la funzionalità tiroidea e aumenta la sintesi di ATP a livello dei mitocondri, in quanto aumenta l’efficienza energetica delle nostre cellule.
Esami ematici per infiammazione silente
- Rapporto AA/EPA: deve avvicinarsi al valore ideale di 1,5; solo i giapponesi hanno questo rapporto nelle membrane delle loro cellule; per gli americani tale rapporto sale a 20 [13,14,15,16], valore simile a quello della popolazione italiana più giovane [17,18,19]; mentre la popolazione della vecchia generazione italiana lo ha intorno a 15 [17,18,19] ; è ipotizzabile che nella terza età il rapporto AA/EPA si riduca a causa della diminizione di espressione della delta-6-desaturasi [19,20];
- Rapporto Tg/HDL 1-2: è attualmente il miglior parametro per valutare il rischio cardiovascolare futuro [21]
- Insulinemia a digiuno 5 uIU/ml: valori superiori a 10 uIU/ml indicano insulinoresistenza e stato infiammatorio
- Proteina C reattiva e omocisteina: utili per evidenziare la fase tardiva infiammatoria.
Sono questi gli esami che ci permettono di valutare se abbiamo “raggiunto la Zona”.
Il rapporto AA/EPA vicino a 20 della popolazione più giovane italiana spiega perché il problema dell’aumento dell’infiammazione cellulare – con tutto ciò che comporta, dalla maggiore incidenza dello sviluppo di diabete, di malattie cardiovascolari, fino ad arrivare alla demenza – sta contagiando anche i popoli del bacino mediterraneo: i bambini italiani sono tra i più grassi d’Europa e i giovani italiani sono i più grassi d’Europa!
Bibliografia
-
Rang & Dale Farmacologia: 8° edizione Di Humphrey Rang,James Ritter,Rod
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